Kashikoi inu wa hoezuni warau (かしこい狗は,吠えずに笑う, Shady)
Kashikoi inu wa hoezuni warau (かしこい狗は、吠えずに笑う, Shady). Regia, sceneggiatura e montaggio: Watanabe Ryōhei. Fotografia: Tsuji Katsuki. Scenografia: Hayakawa Naomi, Hiramatsu Fumiko. Musica: Chikatani Aoyuki. Interpreti e personaggi: Mimpi β (Misa), Izumi Kiyose (Izumi Okamura), Horikawa Hiroki, Ishida Gota, Jūzo Kakei. Produzione: Watanabe Ryōhei. Uscita nelle sale giapponesi: 19 settembre 2012. Durata: 94’.
Lungometraggio d’esordio del venticinquenne Watanabe Ryōhei, Shady / Kashikoi inu wa hoezuni warau (pressapoco “I cani intelligenti ridono senza abbaiare”*) è non solo una delle opere prime e uno dei film più convincenti fra quelli giapponesi dell’ultimo decennio, ma anche un lavoro che riprende con grande intensità la migliore tradizione del J-Horror che sembrava essersi definitivamente esaurita. Di quella stagione – e dei più interessanti lavori di Nakata Hideo, Shimizu Takashi e Kurosawa Kiyoshi – Shady riprende non solo l’idea di un cinema di paura che si affida essenzialmente alla costruzione di atmosfere ma anche quella di una circolarità – quella dei Ring, dei Grudge e dei Cure – che fa del male una forza destinata a riperpetuarsi all’infinito (e le cose non stanno forse così?).
Non ho mai ritenuto un peccato rivelare di un film gli esiti della sua trama, ma poiché farlo per Shady sarebbe un vero crimine mi limiterò a dire che l’opera prende le mosse da un ordinario soggetto d’ambiente scolastico che ha per protagonista Misa, una ragazza non brutta ma sovrappeso, e per questo vittima del bullismo delle sue compagne. Ben diversa da Misa, che si muove in modo goffo, ha perennemente il broncio e cammina a testa china, appare essere Izumi: minuta, carina e sempre col sorriso sulle labbra. Fra le due nasce una sorprendente – soprattutto per Misa – amicizia, che le porta a trascorrere gran parte del loro tempo insieme. Lasciando ben poco spazio agli altri personaggi – l’arrogante compagna Marina dai capelli tinti, il frustrato insegnante di matematica che riprende con una videocamera le ragazze in bagno mentre fanno la pipì, e che è uno dei pochi adulti del film – Shady si concentra quasi esclusivamente sulle due protagoniste, dando vita a un mondo per così dire fittizio in cui non sembrano che esistere loro due (interpretare Izumi come un parto della mente di Misa e vedere in essa la materializzazione dei desideri della protagonista non ha niente di aberrante). In fin dei conti Shady è anche un film sull’amicizia e sul suo potere liberatorio, quello che consente a Misa di ritrovare un senso nella sua oppressa esistenza. Ma non sempre le cose sembrano quello che davvero sono – lo afferma la stessa Izumi – specialmente quando queste sono, o potrebbero essere, creazioni del nostro inconscio. Per mantenere fermi i propositi iniziali, e non rivelare troppo, diciamo solo che Izumi si scopre poco alla volta eccessivamente disinibita sessualmente, sia con la sua compagna, sia col professore di matematica, e che in più di una circostanza getta “inavvertitamente” la sua compagna nella disperazione (vedi gli episodi del pesce e del pappagallino). Aggiungiamo che su questo intreccio principale s’innesta quello secondario della scomparsa di una delle compagne di classe delle due amiche, una di quelle che più di altre si divertiva a tiranneggiare la povera Misa.
Intenso e appropriato nel descrivere le incertezze del mondo adolescenziale – certi momenti del film ricordano quelli del miglior Iwai Shunji – Shady dà il meglio di sé quando i modi del thriller prendono il sopravvento, dando vita al succedersi di atmosfere via via sempre più ambigue, equivoche e sinistre, davvero consone al suo titolo internazionale. E proprio l’incertezza fra “le cose accadute lo sono davvero” e “non si tratta invece di una pura fantasia della stessa Misa”, dà al film quella dimensione “fantastica” (nell’accezione proposta da Todorov, come “spazio di un’esitazione”) che contribuisce a renderlo sempre più inquietante. Aggiungiamo l’abilita registica di Watanabe, che si destreggia con intelligenza tra soluzioni classiche e scelte moderne, lavorando abilmente col montaggio e il piano sequenza, i jump cut e l’uso del grandangolo, la profondità di campo e gli effetti sonori, e concludiamo dicendo che chi si era appassionato a Confessions di Nakashima Tetsuya, troverà modo di trarre grande piacere anche da Shady… l’horror giapponese è ancora vivo. [Dario Tomasi]
*Negli extra del DVD del film, edito dall’inglese Third Windows, Watanabe dichiara di essere stato influenzato dal regista coreano Bong Joon-ho, la cui opera d’esordio aveva come titolo internazionale Barking Dogs Never Bite, ovvero “I cani che abbaiono non mordono”.
PS Non perdetevi la scena conclusiva del film dopo i titoli di coda… da applauso (e per tirarsela un po’: “un capolavoro di prossemica”, ovvero quando tutto è affidato alla disposizione dei personaggi nello spazio dell’inquadratura.)