Oto wo karu (オトヲカル, Sound Hunting)
Oto wo karu (オトヲカル, Sound Hunting). Regia, fotografia, montaggio, sviluppo della pellicola: Murakami Kenji. Interpreti: Murakami Daiki, Amatsu Yuki, Obitani Yuri. Formato: 8mm. Durata: 36 minuti. Anno: 2013 – Yamagata International Documentary Film Festival.
Links: Tom Mes (Midnight Eye)
Murakami Kenji durante la sua carriera è sempre stato interessato all’aspetto metafilmico del cinema e nel suo caso specifico del documentario, quasi sempre i suoi lavori infatti, da Tel-Club a Dear Mr Ougi fino a Fujica Single Date, con lo stile apparentemente leggero, quasi surreale ed agressivo che lo caratterizza, hanno toccato e fatto riflettere sull’atto del filmare. In questo senso quindi, Murakami è un autore che abita quella zona liminare e grigia dove le pratiche del documentario e del diario personale si sovrappongono alla sperimentazione più pura, opere come Love Hotel Collection (2004) e Love Doll I Wanna Hold You sono lavori indefinibili che ci mostrano gli interni di love hotel giapponesi ed il feticismo e l’ossessione per le cosiddette “bambole dell’amore”.
Nel suo ultimo lavoro, Sound Hunting, presentato in anteprima allo Yamagata International Documentary Film Festival 2013, ritorna questo suo giocare, sempre autoironico e divertito, con l’aspetto metafilmico dell’atto del filmare. Murakami ha usato una bobina di super 8 scaduta da trent’anni per “provare” a filmare la sua quotidianità e, non essendo sicuro che la pellicola dato il suo stato, avrebbe catturato delle immagini, l’idea in origine era quella di cercare di catturare almeno i suoni, ecco allora spiegato il titolo. Questo breve lavoro si divide in blocchi tematici “luci di notte”, “donne” e “tempo” in cui il regista giapponese che qui anche cameraman vagabonda per la città in cerca, a caccia, di suoni ed immagini da registrare sulla vecchia pellicola. L’aspetto sperimentale, nel senso letterario del termine, è andato ben oltre l’atto del filmare, a Yamagata prima della proiezione infatti lo stesso Murakami ha dichiarato al pubblico di non essere sicuro che tutto vada per il meglio, la pellicola vecchia e scaduta avrebbe potuto bruciarsi o rompersi da un momento all’altro. Per fortuna degli spettatori però tutto è andato liscio, i 36 minuti di immagini super sfocate quasi chiazze di colore indistinto con la voce ipnotica dello stesso regista che ripeteva come un mantra, a seconda dell’oggetto che filmava, “filmo il cielo, filmo il cielo, filmo il cielo, filmo il cielo, filmo il cielo…” oppure “filmo una donna, filmo una donna, filmo una donna, filmo una donna, filmo una donna, filmo una donna…” o ancora “filmo le onde, filmo le onde, filmo le onde…” e così via, sono passati in un lampo e senza problemi. Interessante è stato partecipare ad una sensazione comune che serpeggiava nel pubblico, di pericolo e di possibile distruzione del film, un fatto molto raro e che ha fatto esperire il lavoro in maniera insolita e diversa, come un evento o un happening, in un arte cinematografica che si vuole, fin dai suoi inizi ma più che mai al giorno d’oggi, riproducibile, replicabile e conservabile all’infinito.
Sound Hunting resta prima di tutto un esperimento visivo sensoriale attraverso il quale vedere il posto che la pellicola, specialmente quella amatoriale, riveste nel video-mondo in cui viviamo. Riportandoci o almeno facendoci riflettere sulla fisicità e sulla deperibilità dell’immagine e sull’importanza nelle opere visuali di tutto ciò che esula la nitidezza e la perfezione dell’immagine in sé. [Matteo Boscarol]