REVOLUTION+1 (ADACHI Masao, 2022)
di Jacopo Barbero
Poche figure nella storia del cinema giapponese possono vantare una traiettoria tanto incendiaria e radicale quanto quella di Adachi Masao. Classe 1939, esordì al cinema nei primi anni 1960, nel pieno della new wave nipponica, e divenne noto per alcuni documentari sperimentali e diverse collaborazioni come sceneggiatore con autori più noti come Wakamatsu Kōji (tra i padri del pinku eiga, cinema soft-porno) e Ōshima Nagisa. La carriera cinematografica di Adachi, già militante e impregnata di temi di lotta politica a sinistra, si interruppe tuttavia nei primi anni Settanta, quando il regista si unì all’Armata Rossa Giapponese, gruppo politico comunista, anti-imperialista e anti-sionista identificato come organizzazione terroristica in Occidente, specialmente in seguito al massacro dell’aeroporto di Lod a Tel Aviv (1972). Nel corso della sua militanza politica armata, Adachi visse in Libano per 28 anni, collaborando con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina fino ai primi anni Duemila, quando venne arrestato ed estradato in Giappone, dove scontò una breve sentenza. In seguito, Adachi ha riavviato la sua attività di regista con film come Prisoner / Terrorist (Yūheisha / terorisuto, 2007) e, soprattutto, il qui recensito Revolution+1 (2022), sorta di esperimento cinematografico concepito e girato a basso budget (7 milioni di Yen, circa 40.000 euro) in poche settimane in seguito all’assassinio dell’ex primo ministro giapponese Abe Shinzō, avvenuto a Nara l’8 luglio 2022. Il film è stato proiettato inizialmente in una versione non definitiva di 50 minuti a partire dal 26 settembre 2022, il giorno prima dei funerali di stato di Abe, evento altamente contestato in Giappone e definito da Adachi stesso come “il tentativo [da parte del governo giapponese, ndr] di promuovere Abe come un grande politico, laddove egli è stato un criminale politico che ha contribuito al degrado della democrazia” (Hirasawa e Spigland 2023). Nel dicembre dello stesso anno, infine, il film è uscito nella sua versione definitiva e integrale di 75’.
Revolution+1 ricostruisce alcuni momenti chiave nella vita di Kawakami Tatsuya, rappresentazione semi-romanzata di Yamagami Tetsuya, il quarantunenne che nel 2022 ha assassinato l’ex primo ministro giapponese Abe Shinzō. Dalla giovinezza segnata dal trauma del suicidio del padre alle difficoltà economiche familiari, fino alla devozione della madre per la Chiesa dell’Unificazione coreana, fortemente sostenuta dallo stesso Abe, il film esplora il retroterra personale di Kawakami, immergendosi nella psiche dell’assassino e mettendo a fuoco le possibili motivazioni dietro al suo gesto.
Revolution+1, come gran parte dell’opera di Adachi, è un film da leggersi inevitabilmente alla luce del suo contesto storico e produttivo. La forma scelta dal regista per il film è infatti quella del pamphlet cinematografico, la pellicola militante “d’occasione”, strettamente legata all’attualità e alla condizione sociale del momento. Nella vicenda di Kawakami/Yamagami e dell’assassinio di Abe, infatti, Adachi trova un’occasione per riflettere sullo stato attuale di decadenza della società nipponica, completamente assorbita nei propri traumi individuali. Adachi stesso in un’intervista (Hirasawa e Spigland 2023) fa notare come le motivazioni dietro l’atto di Yamagami non fossero di natura prettamente politica, bensì personale e fortemente collegate al senso di malaise esperito dalle generazioni più giovani e imposto su di esse anche da una sfera politica nazionale sempre più distaccata dai problemi quotidiani, corrotta e oligarchica. Adachi nel suo film elimina dunque qualsiasi distinzione tra sfera politica e individuale: il suo Kawakami è un individuo la cui sfera personale è stata devastata dalla politica e le cui azioni individuali assumono inevitabilmente un valore politico. Non a caso Adachi ripercorre la vita di Kawakami dall’infanzia all’età adulta, creando continue connessioni tra il personale e il politico. La perdita dell’occhio del fratello di Kawakami, mai curata appieno, si collega al degrado economico familiare, causato dalle dissennate donazioni della madre fanatica alla Chiesa dell’Unificazione. Quest’ultima era sostenuta proprio da Abe, politico ideologicamente ambiguo, a sua volta rampollo di decenni di politica giapponese asservita all’imperialismo statunitense. Tale asservimento è evocato dalle fotografie di famiglia di Abe, in cui l’ex presidente compare accanto a suo nonno Kishi Nobusuke. Già criminale di guerra e primo ministro del Giappone, Kishi fu uno tra i firmatari dell’Anpo (1960), il trattato che rafforzò le relazioni militari tra USA e Giappone, permettendo ai primi di stabilire basi militari sul suolo Giapponese. È attraverso questo affastellamento di fatti e connessioni che Kawakami, a quarantuno anni, impiegato in lavori precari, si percepisce come vittima di una storia politica e di un sistema oppressivo, che lo ha condannato a un’esistenza miserabile, senza che egli abbia mai potuto influire sul proprio destino, già segnato in partenza. Adachi è particolarmente attento a sottolineare anche la confusione ideologica di Kawakami (“Sei un anarchico? Sei un realista?,” gli chiede un altro personaggio senza ottenere risposte chiare), giustificata dal clima politico di un Giappone che pare avere smarrito la propria rotta morale e ideologica.
La densità politica di Revolution+1 trova poi perfetta espressione nella forma del film, dalla chiara realizzazione artigianale e talvolta approssimativa. Le immagini di Adachi sono spigolose e dirette, spesso persino rozze, come quando la fotografia gioca con la sovraesposizione. Fa tutto parte dell’armamentario del cinema graffiante di Adachi, sin dagli anni Sessanta contraddistinto da immagini sferzanti nella forma e nel contenuto. Vere immagini politiche capaci, nel caso di Revolution+1, di esprimere tutta la desolazione esistenziale della vita moderna. In questo senso è inevitabile fare un confronto tra Revolution+1 e un classico dell’opera di Adachi, A.K.A. Serial Killer (Ryakushō: renzoku shasatsuma, 1969-1975), documentario concepito dal regista insieme a Matsuda Masao e Sasaki Mamoru. In quel film, Adachi seguiva le tracce del serial killer Nagayama Norio, realizzando un documentario d’osservazione che poneva al centro non l’uomo, bensì i luoghi della vita dell’assassino, elaborando la celebre “teoria del paesaggio”, secondo la quale sono i paesaggi e i posti che ciascuno frequenta nella propria vita a rivelare le relazioni di potere che la governano. In Revolution+1, pur seguendo anche in questo caso le vicende di un killer, Adachi sembra rinunciare a questa teoria: la sua cinepresa si concentra quasi esclusivamente sugli individui, e su Kawakami in particolare, come se non ci fosse più spazio per i paesaggi e le relazioni di potere che esprimono, ma solo per un’inquietante discesa nella psiche di un individuo che è il mero prodotto del proprio ambiente sociale e politico.
Riferimenti:
Hirasawa, Go e Ethan Spigland. 2023. “REVOLUTION+1: An Interview with Masao Adachi.” e-flux Journal (135). https://www.e-flux.com/journal/135/530856/revolution-1-an-interview-with-masao-adachi/.
Titolo originale: Revolution+1; regia: Adachi Masao; sceneggiatura: Adachi Masao, Inoue Jun’ichi; fotografia: Takama Kenji; musica: Ōtomo Yoshihide; montaggio: Hiruta Tomoko; scenografia: Kurokawa Michitoshi; suono: Fujibayashi Shigeru; interpreti: Tamoto Soran (Kawakami Tatsuya), Iwasaki Satoko (madre di Tatsuya), Takahashi Yusuke (padre di Tatsuya); Muraki Futa (fratello di Tatsuya), Maesako Ria (sorella di Tatsuya), Moriyama Mitsuki (giovane donna), Isabelle Yano (donna non giovane), Kimura Tomoki (amico di famiglia); produttori: Fujiwara Emiko, Katoh Umezou; paese di produzione: Giappone; durata: 75’ (50’ in una prima versione); anno di produzione: 2022; uscita giapponese: 26 settembre 2022 (prima versione); 24 dicembre 2022 (versione definitiva).