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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

IL CINEMA GIAPPONESE NEGLI ANNI OTTANTA

Presentazione dello speciale dedicato al cinema giapponese negli anni Ottanta

di Matteo Boscarol

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Sonatine è lieta di presentare, nel corso delle prossime settimane, uno speciale dedicato ad un periodo del cinema giapponese solitamente poco studiato e discusso, ma che negli ultimi anni è stato (ri)scoperto, almeno a livello internazionale: la produzione cinematografica uscita dall’arcipelago durante gli anni Ottanta. Individuare tendenze o particolari sviluppi artistici in periodi temporali fissi è sempre un esercizio arbitrario, così come ragionare per decenni porta inevitabilmente a forzature e semplificazioni. Ciononostante, l’evoluzione dell’arte cinematografica, essendo questa anche un’industria, è quasi sempre necessariamente connessa ai vari mutamenti sociali e storici. Ecco allora che dalla fine degli anni Settanta nell’arcipelago giapponese cominciano ad affacciarsi nuovi approcci artistici e produttivi, risposte alla crisi dell’industria cinematografica acuitasi nei primi anni del decennio, ma anche sviluppi che riflettono lo sviluppo tecnologico a cui il cinema è stato legato fin dai suoi albori.  

Per comprendere la situazione del cinema giapponese degli anni Ottanta bisogna necessariamente fare un passo indietro e tornare agli inizi del decennio precedente, periodo che decreta un momento di passaggio epocale per l’industria cinematografica giapponese. Alcune delle case di produzione storiche sono costrette a dichiarare il fallimento (Daiei nel 1971), altre a sconvolgere totalmente i loro piani e dedicarsi a produzioni di cinema erotico per sopravvivere, la Nikkatsu con il filone Roman Poruno, mentre la Shōchiku resta a galla grazie agli incassi pervenuti dalla fluviale serie It’s Tough Being a Man (Otoko wa tsurai yo, 1969 – 1995) concepita da Yamada Yōji. A questo si aggiunga il fatto che lo star system non è più ad appannaggio delle grandi compagnie cinematografiche, ma che attrici ed attori provengono sempre di più dalla televisione o dal mondo della musica. Sul piccolo schermo confluiscono così anche molti degli sforzi di case di produzione che si dedicano alla creazione di serie televisive d’azione o tokusatsu (di effetti speciali).

Una di queste compagnie, la Tōei, per la sua produzione cinematografica decide di puntare su opere con un budget ridotto, ma che attraverso azione, effetti speciali, violenza, sesso, o storie giovanili, insomma un cinema di exploitation, riescono a catturare l’attenzione delle nuove generazioni. Una delle conseguenze di questo mutamento della produzione visiva dell’arcipelago negli anni Settanta è la quasi assenza dei grandi nomi affermatisi nel decennio precedente. Imamura Shōhei, Yoshida Kijū e Ōshima Nagisa si dedicano alla realizzazione di documentari o programmi per la televisione e solo Shinoda Masahiro continua la sua produzione per il grande schermo attraverso lavori indipendenti. Nel 1969 Kinoshita Keisuke assieme a Kurosawa Akira, Kobayashi Masaki e Ichikawa Kon forma il Yonki no kai (letteralmente, il gruppo dei quattro cavalieri) una casa di produzione indipendente che doveva finanziare i film dei quattro giganti del cinema giapponese. Il primo lavoro della compagnia, Dodes’ka-den (Dodesukaden), diretto da Kurosawa, esce nelle sale giapponesi nel 1970, ma non si rivela il successo sperato e di fatto pone fine all’ambizioso progetto iniziato dai cineasti.

Importante per il tema qui trattato è che tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta prende piede inoltre, grazie soprattutto alla Kadokawa Pictures, la strategia del cosiddetto media mix che inizia con l’incredibile successo al botteghino di Inugami ke no ichizoku (The Inugami Family, 1976) diretto da Ichikawa. Il media mix, fra le altre cose, porta agli estremi quel processo di indebolimento dello star system cominciato anni prima e lancia un sistema dove il film per il grande schermo è solo un passaggio o un nodo di quella rete formata da pubblicazioni su carta, musica, merchandising e televisione. 

In questo contesto crescono e si sviluppano le nuove generazioni di cineasti che si affermano durante gli anni Ottanta, molti di questi provengono quindi dalla formativa palestra dei Roman Poruno e dei film erotici più in generale, come Banmei Takahashi, Takita Yōjirō, Sōmai Shinji, ma anche Kurosawa Kiyoshi. Altri dal mondo della pubblicità per la televisione, anche se gli inizi sono stati nel cinema sperimentale, come Ōbayashi Nobuhiko. Il decennio offre inoltre anche possibilità di medie produzioni ad artisti che si sono rivelati grazie al jishu eiga (come Ishii Gakuryū, precedentemente Ishii Sōgo), il cinema indipendente e quasi amatoriale che alla fine degli anni Settanta diventa possibile grazie all’accessibilità del formato in 8mm e al vuoto delle grandi case di produzione di cui si diceva più sopra. 

Fa parte di questa costellazione del cinema inteso come espressione individuale, reso possibile anche da micro festival e jishu jōei-kai (proiezioni indipendenti), anche il cinema sperimentale che vede l’affermarsi di alcuni nomi nuovi come Ishii Takashi e di veterani come Matsumoto Toshio. Molti di questi cineasti che trovano successo nel decennio, Sōmai e Obayashi su tutti, si cimentano con un “genere” che è stato più volte snobbato e deriso, quello dei film di idol, giovani ragazzine rese popolari attraverso la televisione e dal media mix. Questi registi e i loro collaboratori, non bisogna dimenticare che il cinema è la risultante di uno sforzo collettivo, riescono a dare un’impronta autoriale anche a questo tipo di lavori e realizzano alcuni dei più memorabili film giapponesi del periodo. 

Naturalmente il decennio è attraversato anche da singolarità eccentriche per così dire, Itami Jūzō per esempio dopo una carriera ventennale come attore debutta come regista con alcuni dei più riusciti film satirici mai realizzati in Giappone. Senza dimenticare che il decennio in questione è anche il periodo in cui i grandi vecchi del cinema nipponico (Kurosawa, Kobayashi, Kinoshita) continuano a produrre o ritornano alla ribalta, così come escono anche film della generazione dei vari Ōshima, Imamura e Yoshida. Questo speciale però si limiterà a focalizzarsi su nomi nuovi o su autori che raggiungono la maturità artistica durante il decennio. 

Per comprendere l’ecosistema cinema nel suo complesso non è superfluo sottolineare come gli anni Ottanta siano stati anche il decennio che ha visto la nascita è il diffondersi dei cosiddetti “mini theater”, i piccoli cinema indipendenti, nati dai jishu jōei-kai di cui si scriveva più sopra, che hanno favorito lo sviluppo di un certo modo di fare e vedere il cinema nell’arcipelago. Questi luoghi e il fenomeno del V-Cinema, la produzione legata esclusivamente al cinema per home video, sono due importanti fattori che renderanno possibile l’avvento dell’onda nuova giapponese dei primi anni novanta (Kitano Takeshi, Tsukamoto Shin’ya, Miike Takashi), ma questa è un’altra storia. 

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