ABNORMAL FAMILY: OLDER BROTHER’S BRIDE (Hentai kazoku: Aniki no yomesan), SUO Masayuki 1984)
SPECIALE ANNI OTTANTA
di Valerio Costanzia
Il film è prodotto da Sato Keiko alias Asakura Daisuke, una delle più importanti produttrici giapponesi e figura centrale del genere pinku eiga, ovvero il cinema soft-core indipendente a basso budget, a cui si devono titoli come Inflatable Sex Doll of the Wastelands di Atsushi Yamatoya (Kōya no Datchi Waifu, 1967) e Gushing Prayer di Adachi Masao (Funshutsu kigan 15-sai no Baishunfu, 1971). Presentato in una versione restaurata 4K al Japan Cuts Festival del 2018, il più significativo festival nordamericano dedicato al cinema giapponese, Abnormal Family è diventato col tempo un classico del genere, non tanto per il contenuto sessuale esplicito, ai limiti del porno, quanto per la “sfrontata” arditezza di Suo nell’accostarsi, cum grano salis, a un mostro sacro come Ozu, forzando Osugi Ren in una interpretazione che strizza l’occhio al grande Ryū Chishū.
La famiglia Mamiya – composta dal padre Shukichi, dai figli, Kazuo, Akiko, Kōichi e dalla nuora Yuriko (moglie di quest’ultimo) – all’apparenza un nucleo familiare tipicamente borghese e tradizionale, si rivela essere attraversata da una serie di dinamiche affettive e sessuali che sconfinano nella perversione sadomasochistica, nel feticismo, nell’attaccamento morboso a figure scomparse come la madre, portando alla luce una cocente frustrazione che non sembra trovare vie d’uscita se non nella dissoluzione del nucleo familiare stesso.
Abnormal Family segna il debutto alla regia di Suo Masayuki, regista che conoscerà un grande successo di pubblico con titoli come Sumo Do, Sumo Don’t del 1992 e, soprattutto, Shall We Dance? del 1996 intrepretato da Yakusho Kōji, film che avrà poi un remake hollywoodiano a firma di Peter Chelsom nel 2004 con protagonista Richard Gere. Eppure, sembra difficile credere che la mano sia sempre la stessa: non c’è nulla di più distante da questi film, sia nei temi trattati sia nello stile, nella messa in scena e nel tone of voice generale. Ma ciò che più colpisce, come rilevato da molti critici, è la riproposizione e rilettura di alcuni stilemi del cinema di Ozu che vengono deformati e ricontestualizzati in una chiave softcore-pinku-eiga lontanissima, ovviamente, dalla sensibilità del maestro giapponese. Dalla scenografia degli interni, alla collocazione della macchina da presa nella posizione bassa cara al regista, dalle inquadrature frontali dei personaggi alle celebri pose parallele, dagli inserti alle inquadrature di transizione che dilatando il tempo, dal sottile umorismo – complice il contrappunto musicale ironico – che serpeggia lungo il film alla rappresentazione buffa e disincantata dei personaggi, in particolare la coppia dei vicini di casa, il film è un rimando continuo alla grammatica di Ozu.



Insomma, Suo Masayuki sembra piegare lo stile di Ozu al servizio di una cronaca familiare torbida e perversa in cui il lavoro di sottrazione e stilizzazione dei grandi capolavori di Ozu pare essere il pre-testo per aggiornare il delicato approccio alla dissoluzione e disgregazione dei rapporti famigliari che era alla base di gran parte della filmografia del regista nipponico.
Sul versante squisitamente erotico, il regista non si risparmia di certo mettendo in scena un campionario che va dal bondage, con tanto di frustini, al waxing il tutto, però, come congelato in una rigida griglia formale che crea un corto-circuito, a volte buffo e divertente, altre volte sofferto e più consapevole dell’universo malato che sta descrivendo.
Nonostante il rischio della parodia sia molto vicino, Suo dimostra una conoscenza approfondita del cinema di Ozu. Traspare evidente, a nostro avviso, che Abnormal Family vada letto come un atto d’amore nei confronti del suo cinema, una riconsiderazione dei temi cari a Ozu che restano eterni come nello struggente finale in cui il padre, con lo sguardo rivolto al cielo, parla alla moglie dicendole che Yuriko – nonostante tutto – sia una nuora perfetta e che il figlio Kōichi non debba preoccuparsi. Una consapevolezza che Shukichi ha interiorizzato grazie alla scelta di Yuriko di non abbandonarlo, un po’ come la Noriko di Tarda primavera che non intendeva lasciare il padre nella solitudine.

Titolo originale: 変態家族兄貴の嫁さん(Hentai kazoku: Aniki no yomesan); sceneggiatura e regia: Suo Masayuki; fotografia: Nagata Yūichi; montaggio: Kikuchi Junichi; scenografia: Taneda Yôhei; musica: Suo Yoshikazu; interpreti: Kaze Kaoru (Mamiya Yuriko), Yamaji Miki (Mamiya Akiko), Asō Usagi (the Bar Madam), Osugi Ren (Mamiya Shukichi, the Father), Shutō Kei (Mamiya Kazuo), Shimomoto Shirō (Mamiya Kōichi); produzione: Kokuei, Asakura Daisuke, Isomura Itsumichi; durata: 62’; uscita in Giappone: giugno 1984