Matsue Tetsuaki’s Live Tape & Tokyo Drifter
Live Tape (id.). Regia: Matsue Tetsuaki. Interpreti: Maeno Kenta, Nagasawa Tsugumi. Durata: 74′. Anno: 2009.
Links: Nicholas Vroman (a page of madness) – Chris MaGee (JFilm-Pow-Wow) – Jon Jung (VCinema)
Tokyo Drifter (id.). Regia: Matsue Tetsuaki. Interpreti: Maeno Kenta. Fotografia: Kondō Ryūto. Suono: Yamamoto Takaaki. Produttore: Iwabuchi Hiroki. Anno: 2011.
Links: Nicholas Vroman (Jfilm-Pow-Wow)
Il primo gennaio del 2009 Matsue Tetsuaki decide di filmare il cantautore folk Maeno Kenta mentre quest’ultimo suonando e cantando si sposta apparentemente senza meta per la zona di Kichijōji a Tokyo. Questo lavoro, a metà fra la performance live e il documentario, parte da una giovane ragazza che fa la sua preghiera augurale d’inizio anno (hatsumōde) e finisce con un mini concerto di Maeno e altri musicisti in un parco. La caratteristica saliente, quasi sperimentale di questo lavoro è che Matsue decide di girare i 74 minuti che compongono l’opera in un unico shot, in digitale e registrando su cassetta (il tape del titolo), un lungo piano sequenza che ricorda, con le dovute differenze Arca Russa di Sokurov. Una scelta volutamente low-fi quella dell’autore giapponese, nel solco della sempre attiva corrente dei jishu eiga (i film indipendenti, autoprodotti a bassissimo costo) che nelle restrizioni e nei limiti tecnici trova così un modo ed uno sprone per sviluppare il proprio talento e la propria inventività. Proprio perchè girato in un unico cut, Live Tape diventa una sorta di capsula spazio temporale, 74 minuti durante il primo gennaio 2009, che assumerà probabilmente un altro significato ed una valenza diversa da quella che ha oggi per noi per gli spettatori che lo (ri)vedranno tra una ventina o trentina d’anni.
Ad una attenta analisi, passato cioè il godimento estetico della passeggiata urbana e delle musiche di Maeno, il lavoro del regista giapponese rivela il suo interessante statuto di ossimoro concettuale. Si tratta infatti di una realtà “live” che viene catturata nelle immagini ma che è allo stesso tempo anche parzialmente pianificata, durante la camminata infatti ci sono una serie di incontri che sembrano “casuali” con musicisti con cui lo stesso Maeno va a duettare e che quindi casuali non sono per niente. Lo stesso film si concluderà, come ovviamente già deciso, in un piccolo parco della zona dove Maeno e gli altri artisti riuniti terranno un mini concerto. Questo percorso però è in ogni momento passibile di qualsiasi interruzione, minacciato da una serie di possibili ed infiniti contrattempi, un passante che chieda qualcosa, un altro che ostacoli il cameraman e così via. È questa virtuale intrusione della casualità nell’opera che le dona la giusta tensione e che la mantiene, per così dire, viva ed aperta anche per lo spettatore che la sta guardando. In certi passaggi fra una canzone e l’altra, il regista stesso dialoga con il musicista ed in un’occasione in particolare entra addirittura nell’inquadratura per conversare sulle ragioni che spingono Maeno a fare musica e quelle che hanno portato Matsue a realizzare questo progetto. Si rivelano in questo frangente le radici cinematografiche e la predisposizione del regista per il self documentary, modalità documentaria nata in Giappone negli anni settanta, che era la colonna portante dei primi lavori di Matsue e su cui ha anche scritto un libro.
Nel suo essere o volere essere un live, una “ripresa del reale” quindi, e nel suo essere chiaramente pianificato, come già detto nel percorso e negli incontri “casuali”, Live Tape ben rappresenta le tensioni che attraversano e che animano in tutte le loro contraddizioni il documentario contemporaneo e la problematicità che giace al fondo dello stesso termine “documentario” da sempre, dai Lumière in poi, in bilico fra “realtà” e finzione.
Tokyo Drifter è il seguito ideale di Live Tape, con la videocamera che ancora una volta segue Maeno per le strade di Tokyo, in quest’occasione però non in un solo shot e durante il giorno, ma in una notte (il 27 maggio del 2011 dalle 19:30 fino all’alba, con ancora le immagini del disastro dell’11 marzo ancora negli occhi) a zonzo per la capitale nipponica sotto una pioggia battente anche nei suoi spostamenti in motorino. Ancora una volta i protagonisti del lavoro sono il paesaggio, qui reso quasi irreale dalla pioggia e dall’oscurità, un tono cupo che forse fa eco ed è conseguenza del dramma dell’11 marzo, e naturalmente la musica ed i testi del cantautore. Il fatto di aver girato la notte e di essere un film di montaggio lo rende, forse volutamente, viste anche le parole sovraimpresse all’inizio ed alla fine del lavoro realizzate con stile retrò computerizzato anni ottanta, ancora più low-fi del precedente. Ciò che si perde nel confronto con Live Tape è l’effetto capsula spazio temporale ed il thrilling del one shot one cut, inoltre ciò che naturalmente viene meno è l’effetto novità, anche a livello concettuale, che caratterizzava il film del 2009. [Matteo Boscarol]