Nichirin no isan (日輪の遺産, The Legacy of the Sun)
Nichirin no isan (日輪の遺産, The Legacy of the Sun). Regia: Sasabe Kiyoshi. Soggetto: dal romanzo di Asada Jirō. Sceneggiatura: Aoshima Takeshi. Montaggio: Kawase Isao. Fotografia: Sakae Masaharu. Musiche: Kabasawa Mino. Interpreti: Sakai Masato, Fukushi Seiji, Nakamura Shidō, Yūsuke Santamaria, Morisako Ei, Takano Ryō, Tsuchiya Tao, Kobayashi Motoki, Yachigusa Kaoru, John Savage. Durata: 134’. Uscita nelle sale giapponesi: 27 agosto 2011
Basato sull’omonimo romanzo dello scrittore vincitore del Premio Naoki Asada Jirō, il film narra le vicende di un ufficiale dei servizi segreti della Guardia Imperiale Giapponese, il maggiore Mashiba (Sakai Masato), del tenente Koizumi (Fukushi Seiji) e del sergente Mochizuki (Nakamura Shidō), chiamato scherzosamente anche “il demone rosso” dal gruppo di studentesse arruolate per supportarli nel compimento di un’importante missione segreta: nascondere un tesoro di miliardi di yen indispensabile per la ricostruzione del Giappone post bellico. La guerra è la Seconda Guerra Mondiale e il Giappone è quello dell’occupazione americana condotta sotto la guida del Generale MacArthur (John Savage). La narrazione dei fatti si svolge in forma di flashback all’interno di due cornici: la prima ha come protagonista Hisae e la sua famiglia, che trovano nella morte del marito di lei l’occasione per narrare la storia di questa importante missione segreta dal punto di vista di chi vi partecipò e che rimane ora l’unica sopravvissuta, Hisae appunto; la seconda è costituita da un intervista che ha luogo in California a colui che scopriremo essere stato l’assistente giapponese di MacArthur.
Nell’agosto del 1945, la giovane Hisae, le sue compagne e il suo insegnante sono impegnati, come quasi tutta la popolazione civile, nel supportare il Paese nello sforzo bellico: il maggiore Mashiba viene incaricato, insieme al tenente Koizumi, di elaborare un piano per nascondere il tesoro che servirà alla ricostruzione del Paese, perché il Giappone, sembrano essere conviti gli ufficiali dell’esercito, fallirà. O meglio, sarà l’esercito a fallire, non il Paese. Sta di fatto che è proprio in queste prime battute che si riscontra un’incoerenza storico-intellettuale-antropologica che permea tutta la pellicola: membri dell’esercito giapponese convinti di perdere la guerra!
Oltre alle brutte scenografie, soprattutto quelle degli interni in stile occidentale, che sembrano sottratte al set di una soap opera, e a una recitazione affettata di tutto il cast, ciò che colpisce è la mancanza di credibilità che punteggia tutta la narrazione: innanzitutto, davvero un gruppo di ragazzine in camicia bianca può passare inosservato mentre trasporta pesanti casse di rifornimenti per l’esercito (come tali vengono spacciate le casse piene d’oro)? È possibile che un irreprensibile maggiore faccia il saluto militare a una delle ragazzine che mentre dorme invoca la mamma? Ma soprattutto, è verosimile che il suddetto maggiore si rifiuti di obbedire agli ordini e si presenti di fronte al suo superiore per contestare il già pianificato omicidio delle ragazzine a missione compiuta?
Anche quest’ultima scena è perlomeno discutibile: il Giappone ha ormai perso la guerra e il superiore a cui si rivolge Mashiba sta facendo seppuku! Ma il maggiore (che sembra più un assistente sociale che un membro dell’esercito) è irreprensibile e ribadisce al morente che non sacrificherà mai dei civili. Nonostante la mancanza di fondatezza del film, è purtroppo il caso di ricordare un episodio su tutti che ha avuto come protagonista la popolazione civile giapponese nel 1945: la gente di Okinawa, alla’alba dell’invasione americana, venne costretta al suicidio dai militari dell’esercito. Ed è di pochi anni fa la protesta dei cittadini dell’isola nei confronti del Ministero dell’Istruzione giapponese che ha ordinato agli editori dei testi di storia per le scuole superiori di eliminare o correggere quelle descrizioni della vicenda che implicano il coinvolgimento dell’autorità militari nei suicidi collettivi di migliaia di cittadini.
Tornando al film, Mashiba rientra all’accampamento felice di non dover sacrificare vite umane, ma sfortunatamente la lettera con l’ordine di uccidere le studentesse e il veleno per farlo sono spariti e sono finiti proprio nelle mani di una di esse, che, insieme alle altre (tranne Hisae che si trovava con Mochizuki) mette in atto un suicidio creduto indispensabile per proteggere il tesoro: in questo cliché, la vita per la nazione, risiede però l’unico aspetto psicologicamente credibile dell’intera pellicola. Meno credibile è che MacArtur, una volta scoperta l’ubicazione del tesoro nascosto, si intenerisca alla vista dei cadaveri delle ragazzine, mano nella mano, strette attorno alle casse, e faccia sigillare il sito. L’ultima mezz’ora del film, infatti, è incentrata su ciò che accadde dopo il tragico sacrificio: Hisae si trasferisce da Mochizuki (in seguito i due si sposeranno), Koizumi propone al generale americano un piano di ricostruzione che non verrà approvato e per questo il tenente si suiciderà, minacciando la profetica invasione dei prodotti giapponesi sul mercato americano.
Il racconto si chiude con un’imbarazzante scena in cui Hisae e i suoi famigliari si recano sul luogo dei fatti e vedono gli spiriti delle ragazzine e dell’insegnante che hanno dato (inutilmente) la loro vita per il Paese. [Ramona Ponzini]