Yoshida Kijū tanpen documentary (1987 – 1995)
Yoshida Kijū Tanpen Documentary 1
“Shintaro Nakaoka: the final years of the Tokugawa Shogunate” 幕末に生きる・中岡慎太郎 (1987)
“Folk art in Aichi – a sacred festival, the heart of entertainment ” 愛知の民俗芸能-聖なる祭り 芸能する心- (1992)
“Folk art in Aichi – festivals in a city, the pleasure of entertainment ” 愛知の民俗芸能-都市の祭り 芸能する歓び- (1993)
“The Cinema of Ozu According to Kijū Yoshida” 吉田喜重が語る小津さんの映画(1994)
“Cinema Dream, Dream of Tokyo” 夢のシネマ 東京の夢/明治の日本を映像に記録したエトランジェ ガブリエル・ヴェール (1995)
Quelle che seguono sono alcune riflessioni sparse su sei documentari realizzati da Yoshida Kijū a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta e riuniti in due DVD usciti in Giappone tempo fa (e ancora disponibili per esempio su www.cdjapan.co.jp). Questi lavori sono importanti non solo per la loro intrinseca qualità ma anche come opere fondamentali per riflettere sul percorso artistico di uno degli autori ed intellettuali più acuti che hanno attraversato la storia e la società giapponese nella seconda metà del secolo scorso.
Cinema Dream, Dream of Tokyo è un bellissimo e toccante lavoro che si focalizza sulla figura di uno dei primi cameraman, Gabriele Veyre, mandato in giro per il mondo, Messico, Asia e Marocco (paese dove morirà) a registrare materiale video per conto dei fratelli Lumière. Nell’usare molto materiale di repertorio, i cosiddetti “actuality film” realizzati dal giovane francese, ma anche le fotografie che lo stesso continuava a fare nei luoghi che visitava, Yoshida si sofferma e riflette sulle immagini in movimento girate dal francese in Giappone nel periodo Meiji, esattamente negli ultimi anni dell’800.
Sono probabilmente i primi filmati che abbiamo del Giappone, ma più che un riflettere su un ‘come eravamo’, da storico puro quindi, il regista nipponico sovrapponendo le riflessioni (che come spesso accade nei suoi documentari, lui stesso recita) a queste ‘antiche’ immagini, con il suo stile antinarrativo, lascia spazio all’immaginazione dello spettatore che è stimolato a pensare su una serie di nodi che investono ancora oggi la nostra società. Che cosa sia la memoria, l’atto della registrazione di immagini e quello di ricordare, ma anche il rapporto di queste prime immagini con il referente da cui partono, la cosiddetta ‘realtà’. Una delle parti più significative a questo proposito è quella in cui vedendo immagini di persone che camminano impegnate nelle loro attività quotidiane, ci rendiamo conto che non sapremo mai dove stessero andando o cosa stessero pensando, ci rendiamo conto dell’assoluta caoticità, impenetrabilità ed opacità delle immagini e per esteso della vita.
Il documentario forse più riuscito dei sei è Nakaoka Shintarō: the final years of the Tokugawa Shogunate. La narrazione ci racconta la figura Nakaoka Shintarō, un samurai del periodo Bakumatsu che assieme al più famoso Sakamoto Ryōma tentò di porre fine al dominio dei Tokugawa. La composizione del lavoro è assai variegata ed eclettica, anche se di stampo tradizionale con la voce narrante a fare da guida, le immagini scorrono sui luoghi (nel presente) dove Nakaoka visse o passò, ma anche su primi piani di stampe dell’epoca e alcune scene, specialmente all’inizio ed alla fine del documentario sono delle ricostruzioni di fiction di alcuni passaggi storici importanti. Stupenda in questo senso è la scena di chiusura (che compare anche in apertura) in cui vediamo l’assassinio di Nakaoka, scene molto stilizzate dove gli assassini ed il protagonista stesso sono delle ombre che vengono filtrate dal fusuma dove getti di sangue di un rosso purpureo schizzano violentemente, donando in questo modo alla scena, e al documentario, un’espressività ed una qualità quasi ‘filmica’.
Ma il filo di tutto il documentario è giocato su una personale ricerca e cura delle immagini che Yoshida ha portato avanti del resto lungo tutta la sua carriera con esiti stupendi soprattutto a cavallo fra i Sessanta ed i Settanta. Ritornano anche in questo documentario, quasi un marchio di fabbrica di Yoshida, le lente carrellate laterali sui muri di cinta di vecchi templi, case o castelli che il regista ha usato copiosamente in molti dei suoi lavori per il grande schermo. L’immagine è spesso filtrata, un giardino attraverso le grate di un castello, le foto in bianco e nero dei protagonisti sono posizionate dietro la luce sepolclare di una candela tremolante o con ombre di rami che le coprono parzialmente. Troviamo anche una certa insistenza sul paesaggio dei tetti visti dall’alto. Restando nell’ambito del documentario viene in mente Nishijin che Matsumoto Toshio realizza nel 1961. Tutto il documentario è inoltre punteggiato da una musica tradizionale giapponese che si trasforma talvolta, nei momenti in cui il narrato diventa più drammatico e la Storia muove i suoi ingranaggi, in musica contemporanea/sperimentale, quando non sono i rumori di fondo delle immagini, fiumi, templi, boschi di bambù in controluce o ancora navi in partenza con le lore sirene, a creare il sottofondo sonoro del documentario.
L’interesse per Nakaoka non solo esemplifica l’attenzione di Yoshida verso i passaggi storici, le epoche in cui avvengono forti cambiamenti, ma si ricollega al suo focalizzarsi su quel fondo meno conosciuto degli eventi, Nakaoka viene più volte chiamato come ‘colui che si mosse nell’ombra della Storia’ [Solo per restare nella sua produzione documentaria, va ricordato che l’immenso progetto Bi no bi (La bellezza della Bellezza, 1973-77) è fra le altre cose anche un’esplorazione di un’’eresia’ artistica].
Nello stesso DVD venduto in Giappone assieme al documentario su Nakaoka vengono accorpati altri due lavori girati per la televisione nel 1992 e nel 1993 sulle feste tradizionali nella prefettura di Aichi. Benchè interessanti da un punto di vista del mantenimento del folklore e della sua relazione con la registrazione visuale, c’è un abisso fra questi e il lavoro che li precede. I cinque anni che intercorrono sembrerebbero evidenziare le limitazioni del cinema di Yoshida quando costretto a lavorare con altri formati o forse si tratta di opere su commissione e quindi che sono state meno sentite dal regista. Se Shintaro Nakaoka: the final years of the Tokugawa Shogunate permette all’autore giapponese di mettere in pratica in modo esemplare la sua concezione dell’immagine come qualcosa che sfugge ad una concezione unica del senso, sempre aperta a suggestioni e portatrice di un quid che ne eluda qualsiasi interpretazione che si vuole definitiva, l’uso del video nei due lavori sulle tradizioni fallisce appiattendo l’immagine, rendendola più vicina al ‘vero’ fabbricato dai media tradizionali ed annullandone le potenzialità.
Completa il secondo DVD The Cinema of Ozu According to Kijū Yoshida, un lavoro che è l’accorpamento di alcuni documentari realizzati per la televisione in cui Yoshida leggendo dal suo famoso libro su Ozu, racconta e rivaluta la figura del regista come l’autore di un anti-cinema. Per chi ha letto il libro non si tratta di niente di particolarmente nuovo, le parole di Yoshida sono commentate ed avvalorate da spezzoni di film di Ozu. Per chi non l’avesse ancora letto consigliamo vivamente di procurarselo, un lavoro teorico di estrema importanza e di notevole interesse che non solo getta luce sul regista di Tokyo story ma anche sulla concezione cinematografica ed artistica di Yoshida. [Matteo Boscarol]