Sono Sion’s “Vagina&Virgin” (園子温の「ヴァギナ&バージン」)
Speciale Sono Sion
Sono Sion’s “Bagina&bājin” (園子温の「ヴァギナ&バージン」, Vagina&Virgin). Regia, soggetto, sceneggiatura, fotografia: Sono Sion. Durata: 8’. Anno di produzione: 1994.
La prima immagine è quella tipica di “inizio cassetta”, le righe orizzontali dei disturbi di segnale, lo sfondo sgranato e consumato fino al limite dell’invisibilità. Dalle tonalità opache del verde si passa a quelle metalliche del blu, mentre il fruscio del sonoro accentua l’idea secondo la quale ciò che stiamo vedendo proviene da un nastro magnetico. Subito dopo compare un sipario che si apre innumerevoli volte in ripetute dissolvenze. L’immagine, via via si fa sempre più nitida e, forse, sempre più in primo piano, fino a mostrare una sorta di schermo bianco illuminato da un fascio di luce. Poi il sipario torna a chiudersi e compare il titolo del film. Dal nero emerge un occhio che si muove verso destra e verso sinistra. All’inizio l’occhio è piccolo al centro del quadro, ma presto conquista il primo piano, mostrando una luce al centro della pupilla. Infine, ai lati e poi sopra l’occhio, appaiono i numeri grigi di un ripetitivo conto alla rovescia.
Il cinema che enuncia se stesso. O meglio, cinema che cerca di indagare il gesto della visione descrivendolo nel suo mistero, ma anche nella sua gestualità ideale e meccanica. Sono si concentra sull’aspetto visibile, indugia nel territorio semplice dell’occhio che guarda ed è guardato, tra l’intuizione e l’azione, rappresentando il “teatro del cinema” prima ancora che l’immagine faccia la sua comparsa. Fruscii, suoni, silenzi ottusi avvolgono il verde/blu dello schermo e l’impressione forte è che ciò cui stiamo assistendo sia il risultato di una sovrapposizione duplice, come quando si filma un’immagine a sua volta proiettata: non ci sono forme da far convergere, né figure da assimilare nei vari “strati”, eppure l’effetto creato è quello di una profondità teorica ma, al tempo stesso, tangibile. E non solo per la ripetizione ritmica con cui il sipario si apre, e poi si chiude, ma anche per l’idea prospettica che il fascio di luce inserisce nel quadro, da reinterpretare completamente quando si insinua nell’occhio aperto e inquieto. Si muove e guarda alternativamente da entrambe le parti e di fronte a sé, replicando nel gesto lo spazio triangolare della visione desiderata (ma negata allo spettatore).
Allusivo fin dal titolo, Vagina&Virgin inserisce in una costruzione schematica riflessioni che implicano il desiderio di guardare e il bisogno di vedere più in profondità, propri di un cinema che non può fermarsi alla superficie, come nel porno (in tutte le sue sfumature) e nel cinema sperimentale, mettendo non a caso in parallelo (e in necessaria successione) l’organo sessuale femminile e il concetto di verginità (dell’occhio che osserva e dell’oggetto osservato). Quella che Sono descrive qui è una personale idea di cinema, totalizzante e anticonformista, eppure inserita nella scia di un progetto di ricerca e riflessione sull’immagine e dentro di essa. [Grazia Paganelli]