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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Strawberry Shortcakes

I migliori film del cinema giapponese dal 2000 a oggi scelti dalla redazione di Sonatine


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Strawberry Shortcakes (ストロベリーショートケイクス, Strawberry Shortcakes). Regia: Yazaki Hitoshi. Sceneggiatura: Inukai Kyoko (dal manga di Nananan Kiriko). Fotografia (colore): Ishii Isao. Montaggio: Tada Naruo. Musica: Furuya Masashi. Interpreti e personaggi:  Ikewaki Chizuru (Satoko), Nakagoshi Noriko (Chihiro), Nakamura Yūko (Akiyo), Nananan Kiriko (Toko Iwase), Kase Ryo (Nagai), Andō Masanobu (Kikuchi), Cho Tamiyasu (Lee). Produzione:Asai Takashi, Endo Hajime, Masataka Izumi per Comstock, S.S.M., Tokyo FM Broadcasting Co. Distribuzione: UPLINK Company. Durata: 127′. Uscita nelle sale giapponesi: 23 settembre 2006.


Yokohama Film Festival 2006: Miglior Fotografia per Ishii Isao, Miglior Attrice non Protagonista per Nakamura Yūko. New York Asian Film Festival 2008: Miglior Performance di Gruppo. Altri Festival: Hong Kong, Chicago, Varsavia, Monaco, Ungheria e Singapore.

A Tokyo, quattro differenti personalità femminili condividono difficoltà lavorative e relazionali, sofferenza e solitudine. Lasciata in malo modo dal fidanzato, Satoko, una ragazza determinata e un po’ impacciata, decide di dedicarsi  a se stessa, trovando impiego come segretaria all’interno di una casa per appuntamenti. Akiyo, non più giovanissima, è un’affascinante donna che lavora come dama di compagnia all’interno del stesso bordello dove Satoko è stata assunta come centralinista. Akiyo è da lungo tempo segretamente innamorata di un vecchio compagno di liceo, Kikuchi, il quale però la considera soltanto un’amica. Accumulata un’ingente somma di denaro grazie alla sua professione e conscia del fatto che Kikuchi non potrà essere il padre del bambino che tanto avrebbe voluto, Akiyo decide di chiudere con il passato e avviarsi verso una nuova esistenza. Anche Satoko, stanca delle pressanti attenzioni del suo capo, si vedrà costretta a cambiare lavoro, trovando una nuova posizione come assistente di un ragazzo coreano proprietario di una piccola tavola calda. Chichiro è una giovane impiegata dalle umili mansioni che sogna l’amore sincero e il matrimonio. Legata emotivamente a Nagai, di pochi anni più grande, spera insieme a lui di poter costruire una famiglia. I suoi desideri, per quanto semplici, incontrano però solo un progressivo distacco. Toko, infine, è un’illustratrice bulimica che vive reclusa all’interno dell’appartamento che condivide con Chichiro. Da tempo lasciatasi dall’ex fidanzato, Toko si guadagna da vivere dipingendo copertine, evitando per quanto possibile di interagire con il mondo esterno e precludendosi qualunque tipo di relazione. Trovata la forza di troncare con Nagai un rapporto che non avrebbe avuto futuro, Chichiro aiuterà l’amica Toko a superare un improvviso collasso dalle conseguenze traumatiche, avendo modo di esprimere e rinsaldare il bisogno che hanno l’una dell’altra. Attraverso una serie di eventi fortuiti, le vicissitudini di Satoko, Akiyo, Chichiro e Toko svilupperanno imprevedibili interdipendenze grazie alle quali, ognuna di loro, nell’affrontare la vita, riscoprirà per essa un inesauribile amore.

Tratta dall’omonimo josei manga (fumetti indirizzati ad un pubblico prevalentemente femminile prossimo all’età adulta), la versione cinematografica diStrawberry Shortcakes coinvolge lo spettatore in un dramma esistenziale contraddistinto da precarietà e speranza, affinità e condivisione di affetti. Delineando i caratteri di quattro differenti donne, il film ne mette in luce il profondo legame d’amicizia che tra loro va consolidandosi sullo sfondo di un contesto urbano conflittuale. Alla dimensione emotiva, si affianca quella dei natali delle protagoniste, una terra che, sebbene possa apparire ingrata nel suo negare spiragli di redenzione ed affermazione, diffonde un magnetismo suggestivo che non permette loro di abbandonarla. Con mano ferma e composta, Yazaki indaga delicatamente e lucidamente le sue figure femminili che tra loro condivideranno molto più di quello che potrebbero dettare le apparenze. Personalità distinte, perseveranti, a cui l’autore propone un percorso di cambiamento, un emergere dalle brutture di una quotidianità avversa per ritornare a gioire della vita, ponendo come imperativo la necessità di ritagliarsi un proprio spazio ed appagare, per quanto possibile, la prepotenza dei sentimenti. Attraverso l’angustia delle distanze emotive incolmabili e la vessazione fisica dovuta a sofferenze sentimentali che non trovano risoluzione, Yazaki riflette su temi forti, ponendo a stretto contatto la solidarietà, l’intimità violata e il bisogno di riconoscersi amati.
Sebbene vi siano approcci differenti da parte loro nel reagirvi, la condizione di rinuncia e il bisogno di apprezzamento si pongono componenti condivise da tutti i soggetti femminili, tra cui emerge, quale punto d’incontro, Akiyo. All’apparenza fredda e calcolatrice, Akyio sogna di perseguire un amore semplice e sincero (come vorrebbero Satoko e Chichiro), mostrandosi riluttante dal distaccarsi da quell’universo raccolto in cui si è autonomamente relegata. Emblematico, da parte sua, il dormire all’interno di una bara, abbandonando il suo corpo (condizione che la regia accosta abilmente al fluttuare del pesce tropicale all’interno dell’acquario nel centro della sua stanza) ad un’esistenza di privazione e trasporto. Il vedere scorrere davanti a sé la vita, il desiderio negato di essere madre e di celebrare il proprio tempo ne fanno figura sulla quale l’autore non smette di assestare i propri colpi, contemplandola nella sua dolente bellezza, attraverso un’eleganza che è continua mortificazione. Yazaki dimostra una sensibilità inusuale e commovente nel tratteggiare le vite tormentate delle sue protagoniste, grazie ad una forza espressiva accentuata dalla sua capacità di ritrarle nei loro tratti più tenui e zuccherini (eppure mai scontati o banali), senza aver timore di mostrarne al contempo i più intimi e disturbanti, di cui la sessualità è componente cruciale.
All’interno di una società in cui la figura femminile si riconosce affermata e indipendente (o costantemente alla ricerca di tale condizione), l’atto sessuale si riscopre multiforme. Fonte di gioia o di sofferenza, esso appare, al contempo, il fine ultimo del coronamento di un sogno d’amore, la violenza ai danni di chi vende il proprio corpo, il romanticismo e il consolidamento di un legame o, ancora, l’autoerotismo attraverso il quale fantasticare dell’esperienza altrui compiacendosi della propria solitudine (come accade per Toko, distesa sul letto della coinquilina). Ciò che lo accomuna è l’essere conseguenza di pura libertà di scelta, scevro da prevaricazioni o imposizioni. Anche in Akiyo vi è cognizione di causa e stoica indulgenza nel sottomettersi ai suoi clienti, ma soltanto per scelta, confrontandosi continuamente con la necessità di rispettare la propria integrità morale. Yazaki racconta la sessualità in modo pacato, mettendo sovente in ellissi l’atto caratterizzato da aggressività ma esibendo in modo diretto e partecipativo il consumarsi di un’unione d’amore, come nell’intensa sequenza dedicata a Akiyo e Kikuchi. Un ritrovarsi che si conclude con il piano ravvicinato di una macchia di sangue che ricopre le lenzuola del letto, come se per la donna fosse stato davvero il primo incontro dei sensi e non il sintomo di un disagio fisico dovuto alla sua condotta di vita. La sessualità assume nuovamente plurime valenze, confermandosi non soltanto come ricerca di contatto, ma costituendosi in sicura affermazione del proprio essere e della propria natura che, seppur “ferita”, custodisce in sé una virginea integrità.
Privilegiando il piano sequenza e il campo lungo con il quale generare interdipendenze tra il contesto cittadino e i personaggi, la regia non rinunciare a movimenti di macchina in qualità di contrappunti distintivi della precarietà e dell’inquietudine dei suoi soggetti. A differenza della compostezza gravosa di un’opera precedente come March comes in like a lion (1991), Yazaki cerca e trova nuove congiunture, nuovi punti d’incontro nel dolore condiviso, nella ferrea determinazione per un domani che va costruito con le proprie forze, a fronte delle difficoltà e del senso di perdita imminente di ogni aspirazione che caratterizza la condizione della sua donna giapponese. La pellicola assume così i tratti di una vicenda dai legami invisibili, dove oggetti donati e successivamente abbandonati possono divenire fonte di ispirazione artistica, come accade con i pomodori che Satoko regala a Akiyo e che quest’ultima getterà in terra in un momento di sconforto, scoprendo l’amato con un’altra donna. Metafora di un sentimento infranto, il frutto, raccolto da Toko (interpretata dall’autrice del manga alla base del film), diverrà così salvezza da un’impasse creativa.
In Strawberry Shortcakes, l’identità femminile si costituisce quale forma di riscatto da un contesto sociale maschilista e indifferente, in cui diviene sentita la condivisione di un dramma generazionale rappresentato dall’autore attraverso le età affini ma differenti dei suoi personaggi. Un coinvolgimento emotivo che assume portata attuale, toccando da vicino l’intimità di una parte di pubblico che ha accolto l’invito a riconoscersi nelle vicissitudini delle protagoniste. Le figure femminili, diverse nell’essere ognuna portatrice di una peculiare caratteristica (la fine dell’adolescenza, il desiderio di essere madre, l’isolamento dell’artista e il sogno di una vita normale), paiono condividere tutte le stesse difficoltà relazionali e gli stessi bisogni di sicurezza. Un impeto a non arrendersi che le avvicina incondizionatamente le une alle altre, in una Tokyo di uomini vili e sfuggenti e di donne tenaci (“To be a Rock”, recita una delle t-shirt di Toko), certe che nell’accoramento dei sensi (di cui la solitudine rimane comunque assunto invalicabile) possa risiedere un’immensa bellezza, come nell’autentica dolcezza di una fetta di torta alle fragole. [Luca Calderini] 
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Un commento su “Strawberry Shortcakes

  1. Visto ieri sera. Un bel quadruplice ritratto di donne diverse che però conducono vite ugualmente desolate, unite da un filo sottile. Pudore e disincanto distribuiti nelle giuste dosi e nei punti giusti, almeno per i miei gusti, e la bella ed emozionante scena della porta del treno che si chiude ne varrebbe già di per sé la visione, secondo me, anche se devo ammettere che le atmosfere da josei manga mi tengono un po' a distanza (nel senso che fatico a farmi coinvolgere davvero).

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