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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

TRUE MOTHERS (Asa ga kuru, KAWASE Naomi, 2020)

ORA IN SALA

★★★★ 


Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Mizuki Tsujimura, True Mothers intreccia due vicende di maternità: la storia di Satoko, che assieme al marito decide di adottare il piccolo Asato in seguito al fallimento di diversi trattamenti di fertilità; e la storia della quindicenne Hikari, madre biologica del bambino, segnata dal dolore di dover rinunciare al proprio figlio. Le vite delle due “vere madri”, amorose e caparbie, sono destinate a confluire in un unico destino.

Quanta luce investe le immagini di Kawase Naomi. Un cinema che ha una sua riconoscibile specificità, e si affida a transizioni poetiche, illuminazioni, rêverie; che non teme di sporcare il rigore di alcune sequenze con la fresca istantaneità di altre; che nella finzione inserisce sempre un po’ di documentario, esattamente come la vita si compone di sogno, desiderio e realtà. True Mothers muove, come tanto cinema della regista, da traumi personali (l’abbandono da parte dei genitori); e aggiunge un nuovo capitolo all’esplorazione del mistero della cellula familiare – talora incubo, talora rifugio, connotata da legami che vanno ben oltre la realtà visibile – rivelando in controluce la filigrana di un’adolescenza senza fine, di un approccio di costante stupefazione e scoperta nei confronti dell’esistenza. Incanti, ma anche sofferenza lacerante: uno smarrimento cui il mondo adulto non sembra in grado di offrire risposte. 

Il film si apre con immagini del mare, di un’isola, e il pianto d’un bambino. Questo incipit apparentemente semplice schiude una struttura circolare costituita da una complessa serie di flashback: la fine di un film è il suo inizio, secondo la visione di Ozu. Kawase non scorda la sua lezione, che affiora anche nelle ellissi e nelle numerose transizioni su elementi naturali: petali nel vento, voli di uccelli, alberi mormoranti o elementi del paesaggio urbano; con la differenza che alla trascendenza di Ozu si sostituisce il senso d’una immediatezza, di un presente in cui il paesaggio diviene specchio del nostro sentimento interiore. 

Se il mondo dell’adulta Satoko si esprime in interni ordinati, arredamenti borghesi e un corridoio stretto e  profondo, le cui porte chiuse paiono celare segreti ed emozioni, quello dell’appena adolescente Hikari è impossibile da circoscrivere ed è in perpetuo movimento: dai boschi dove la ragazza scopre i sentimenti, alle corse in bicicletta con il sorriso sulle labbra (come facevano le giovani Hara Setsuko in Tarda Primavera,1949, di Ozu, e Takamine Hideko in Ventiquattro Occhi, 1954, di Kinoshita), alla stanza in cui fa l’amore, tra primissimi piani di sguardi, mani, corpi e astrazioni sensuali, memori della nouvelle vague.

Sia Satoko che Hikari sono “vere madri” del piccolo Asato; entrambe, in diversi momenti del film, cantano la stessa canzone:“Mia bella creatura che ho giurato di proteggere/ anche se i miei occhi fossero privati della luce...” un brano che ribadisce quanto sia importante, per Kawase, il senso di una “vista amorosa” che va oltre gli occhi, già espresso nel precedente Radiance (Hikari, 2017). In True Mothers torna anche il termine “Hikari”, ovvero “luce”, usato significativamente come nome della protagonista adolescente: la giovinezza è forza radiosa, irrequietezza destinata a scontrarsi con la realtà; la stessa realtà che ha segnato Satoko bloccandola in un afasico quotidiano, in cui è così difficile comunicare con il pur comprensivo e amorevole marito Kiyokazu.

Nel suo risalire a ritroso (tramite flash back non lineari) al presente del piccolo Asato e al destino delle due madri, il film assume quasi sfumature da thriller disseminando indizi inquietanti: il telefono di Satoko che suona continuamente, come un cupo presagio; le trasformazioni della personalità di Hikari; l’isola in cui si cela l’agenzia delle adozioni; i personaggi secondari, ciascuno dei quali cova un passato, un mistero che ne ha condizionato le esistenze. Kawase si muove senza timore tra le varie dimensioni del film: ci mette a contatto con i suoi mondi, ce li fa attraversare, tra sogno e brutale realismo. E investe gli esseri umani di luce, un perdono luminoso in cui i destini delle due madri  possono finalmente pacificarsi: come fanno gli oceani che diventano uno.

Marcella Leonardi


Titolo originale: 朝が来る (Asa ga Kuru); regia: Kawase Naomi; sceneggiatura: Kawase Naomi, Takahashi Izumi; fotografia: Kawase Naomi, Sakakibara Naoki, Tsukinaga Yūta; musica: Kosemura Akira, An Ton That; interpreti: Iura Arata, Nagasaku Hiromi,  Tanaka Taketo, Makita Aju, Sato Reo, Nakajima Hiroko, Hirahara Tetsu, Komai Ren; produzione: Kazumo, Kino Films, Kinoshita Group, Kumie; durata: 139′; uscita italiana: 13 gennaio 2022.

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