Oniichan no hanabi (Fireworks from the Heart)
Oniichan no hanabi (おにいちゃんのハナビ, Fireworks from the Heart). Regia: Kunimoto Masahiro; sceneggiatura: Nishida Masafumi; interpreti: Kōra Kengo, Tanimura Mitsuki, Miyazaki Yoshiko, Oosugi Ren, Sasaki Kuranosuke, Satō Ryūta; durata: 119′; prima: 25 settembre 2010.
Links: Sito ufficiale – Trailer (Nippon Cinema) – Chris MaGee (Toronto J-Film Pow-Wow)
PIA: Commenti 4/5 all’uscita delle sale 84/100
Punteggio ★★
Il festival dei fuochi artificiali Katakai, che si svolge a settembre nella piccola città di Ojiya nella prefettura di Niigata, è considerato dal Guinness dei primati il più grande del mondo. Il giorno del festival, Hana (Tanimura Mitsuki), studentessa di liceo, esce dall’ospedale in cui è stata ricoverata per leucemia e torna a casa e trova che il fratello maggiore Taro è diventato un hikikomori, cioè si è estraniato dal mondo e si è rinchiuso nella sua stanza. Tra i due c’è un profondo legame affettivo e dopo molti sforzi Hana riesce piano piano a farlo tornare alla vita normale. Grazie a lei Taro si avvicina anche al gruppo di giovani che l’anno successivo festeggeranno la maggiore età con i fuochi artificiali ma il rapporto con loro è travagliato. Con l’arrivo del’inverno Hana ha una ricaduta e più lei peggiora, più i fuochi artificali diventano per il fratello il simbolo della felicità della sorella. Per farla felice si riavvicina al gruppo e impara addirittura a produrre i fuochi artificiali .
Mi fermo qua per non raccontare tutta la trama, anche se è facilmente intuibile. Ciò che si può dire è che è un ennesimo film onamida chōdai (strappalacrime). Prima di liquidarlo con due parole va però rilevato che nella sua ovvietà è fatto abbastanza bene, senza eccessive sbavature. Soprattutto, offre l’occasione indiretta per rilevare come nel Giappone contemporaneo i giovani sembrino avere sempre meno una immagine concreta della morte. Questo fatto è il risultato congiunto di una serie di fattori socio-educativi e, in parte, dei meccanismi di produzione dell’immaginario collettivo. In questo senso, il melodramma, dove la morte è sì spesso presente ma sempre abbellita, viene a essere un modo per esorcizzare l’idea e l’immagine della morte stessa. Di fatto, nei melodrammi contemporanei la morte è in ultima istanza soltanto un modo per rendere più appassionante la descrizione delle relazioni affettive (uomo-donna, madre-figlia, fratello-sorella ecc.) tra vivi.
Peraltro, la presenza dell’idea della morte, vista nel suo aspetto speculare di vivere intensamente ogni istante della vita, rispecchia un elemento tipico della cultura giapponese. Le connessioni tra natura, condizioni geoclimatiche e cultura nel caso del Giappone sono particolarmente forti. L’altissima frequenza di terremoti e altre catastrofi naturali ha generato nei millenni una visione della vita come cosa labile e incontrollabile dove anche il singolo attimo è importante. In ultima istanza, nonostante le banalizzazioni e le strumentalizzazioni, il perdurare del melodramma come genere evergreen presso il pubblico giapponese trova le sue radici anche in questa sensibilità.
Kōra Kengo è abbastanza bravo nell’impersonare il fratello introverso che si smuove per affetto verso la sorella minore; Tanimura Mitsuki non è bella ma è molto brava nella parte della malata, vitale nonostante tutto. Forse, dovrebbe evitare di morire troppo spesso in scena. Sempre quest’anno è già morta una volta allo stesso modo in Box! [FP]