Baka no hakobune (No One’s Ark)
*** Flashback ***
Baka no hakobune (ばかのハコ船, No One’s Ark), Regia: Yamashita Nobuhiro; sceneggiatura: Yamashita Nobuhiro, Mukai Kōsuke; fotografia: Kondō Ryūto, Mukai Kōsuke; montaggio: Tadokoro Hajime; musica: Akainu; interpeti: Yamamoto Hiroshi, Kotera Tomoko, Hosoe Yūko, Yamamoto Takeshi; produzione: Mukai Kōsuke, Tomioka Kunihiko; durata: 111’; prima: 26 Aprile 2003.
No One’s Ark è la storia di una volenterosa coppia che tenta strenuamente di raggiungere il successo economico vendendo un’improbabile bevanda energetica dal sapore disgustoso e dal nome molto simile a quello di un prodotto più famoso. Dopo aver conosciuto l’insuccesso nella capitale, i due ripiegano, con entusiasmo del tutto fuori luogo, sulla triste realtà di provincia del di lui paese natio.
Secondo lungometraggio di Yamashita, riprende alcuni spunti del precedente Hazy Life e anticipa per altri aspetti il successivo Ramblers, con i quali forma una sorta di trilogia in crescendo. Più curato nella forma e più elaborato nell’intreccio rispetto al film d’esordio, No One’s Ark ribadisce una precisa poetica autoriale (pur radicata nella “tradizione” del cinema indipendente e certamente debitrice verso cineasti affermati come Kaurismaki, Kitano e Jarmusch) ma al contempo lascia intravedere una spiccata propensione all’eclettismo e una capacità di mettere in discussione i canoni del proprio cinema, caratteristiche queste che si faranno più evidenti negli anni a venire. Come già accadeva in Hazy Life, il film è incentrato su una coppia di stralunati inetti intrappolati in una realtà mediocre e squallida nei confronti della quale essi sono, inconsapevolmente, tanto degli outsider (poiché, diversamente da tutti gli altri, sognano e tentano disperatamente di distinguersi) quanto viceversa parte integrante (poiché non sono all’altezza delle proprie aspirazioni). La differenza rispetto alla coppia di amici di Hazy Life è che là i protagonisti si dimostravano rassegnati a non ottenere il benché minimo riconoscimento sociale reale, mentre i fidanzati di No One’s Ark sfoggiano uno spirito imprenditoriale e un’entusiastica fiducia nel successo che stridono comicamente col desolato panorama della recessione economica giapponese. La loro impresa è inutile e assurda esattamente come tutte le meticolose operazioni di controllo sulle merci che i due, serissimi, eseguono quotidianamente sui loro prodotti mentre vagheggiano strampalate strategie di marketing. I sogni ridicolamente grandiosi della coppia e, soprattutto, la loro serietà e determinazione nel perseguirli a dispetto delle continue sconfitte e umiliazioni subite, sono infatti destinati a fallire sin dalle premesse, così che la struttura del film si pone, a partire dalla prima scena fino al surrealistico finale, come un inesorabile declino fatto di ambizioni costantemente ridimensionate, frustrazioni sfogate e amari compromessi con la realtà.
Sebbene No One’s Ark sia senz’altro uno dei film più divertenti di Yamashita, la tristezza di fondo e il senso del grottesco sono troppo intensi per non lasciare un retrogusto amaro. Lo sguardo di Yamashita è minimalista, immobile, distante in maniera spesso cruda e impietosa, ma non manca un senso di immedesimazione autoironica e affettuosa nei confronti dei protagonisti, veicolato soprattutto dall’attore-feticcio a cui il regista affida tutti i ruoli principali in questa prima fase della sua carriera: Yamamoto Hiroshi (da non confondersi con Yamamoto Takeshi, protagonista delle opere più sperimentali di Yamashita, che qui interpreta il burbero e disadattato Ozaki). Abilissimo nel ritrarre sul proprio volto e nelle proprie movenze il senso di imbarazzo, inadeguatezza e disagio esistenziale che animano il cinema di Yamashita, Yamamoto incarna con straordinaria naturalezza un modello di giapponese tanto tipico quanto fuori dai cliché, l’altra faccia della filosofia del “ganbare”, un antieroe capace letteralmente di sgonfiarsi come un pallone (in uno dei più memorabili picchi di surrealismo di tutto il cinema di Yamashita) pur di non dover affrontare la realtà. Ottima anche l’interpretazione della sua controparte femminile, Kotera Tomoko, e interessante la colonna sonora. [GC]